L’Alta Via 6 delle Dolomiti è un sentiero che si fa largo nel cuore delle montagne senza clamore, quasi in punta di piedi. A differenza delle sorelle più celebri, non promette rifugi affollati né panorami già visti milioni di volte sui social. Offre invece un’esperienza essenziale, profonda, che parla al viaggiatore silenzioso. È la via di chi cerca spazio, solitudine, ascolto.
Estesa per circa 180 chilometri, l’Alta Via 6 si snoda da Sappada a Vittorio Veneto, correndo tra le Dolomiti d’Oltrepiave e le Prealpi Bellunesi. Non è un itinerario turistico nel senso comune: richiede autonomia, preparazione, amore per gli ambienti meno addomesticati. In questo regno di silenzi, ogni giornata regala l’impressione di attraversare un’Italia segreta.
Non è un cammino per collezionare vette, ma per perdersi nel ritmo lento e autentico della montagna. Qui non troverai bar, impianti o sentieri battuti da folle. Troverai invece il suono dei tuoi passi, la compagnia degli alberi e il cielo che cambia colore a ogni ora.
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Lunga traversata tra Sappada e Vittorio Veneto
La sesta delle Alte Vie dolomitiche inizia a Sappada, al confine tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Da qui prende il via una delle più selvagge traversate delle Dolomiti, attraversando territori che si sono mantenuti intatti nel tempo: l’Alta Val Piave, le Dolomiti di Sesto, i Cadini di Misurina, i selvaggi gruppi del Cridola e del Tiarfin, fino a raggiungere le Prealpi del Cansiglio. Il cammino si conclude idealmente a Vittorio Veneto, alle porte della pianura veneta.
Non esiste un’unica variante tracciata. L’Alta Via 6 è un mosaico di sentieri CAI che richiedono un’attenta lettura delle mappe e una buona capacità di orientamento. Le tappe non sono scandite da un’infrastruttura fissa di rifugi o bivacchi custoditi: si incontrano invece casere abbandonate, malghe riadattate o modesti bivacchi non gestiti, spesso vuoti, a volte spartani, sempre poetici.
Questo rende l’Alta Via 6 una traversata di frontiera. È necessaria la tenda in molte sue sezioni, o almeno la disponibilità a pernottare in ambienti molto essenziali. Si tratta di un cammino per chi rifiuta l’idea di una montagna già pronta e preferisce l’avventura alla comodità.
Natura incontaminata e spazi remoti
Quello che colpisce, lungo l’Alta Via 6, è l’incredibile sensazione di isolamento. Il sentiero tocca angoli dimenticati, come la Val Frison, la Val Talagona o la selvaggia Forcella Scodavacca, luoghi in cui è possibile camminare per ore senza incontrare anima viva. La fauna, in questi contesti, torna protagonista: non è raro scorgere camosci, marmotte o persino qualche aquila reale in volo.
La vegetazione cambia gradualmente, offrendo continui contrasti: si attraversano boschi di larici e abeti, radure fiorite, ghiaioni deserti, pareti verticali e altipiani punteggiati da laghetti alpini. Questo alternarsi di ambienti rende ogni tappa un microcosmo a sé, con un’identità forte e mai scontata.
La remota bellezza dell’Alta Via 6 sta anche nella sua fragilità. Camminare in questi luoghi significa rispettare un equilibrio sottile: lasciare tutto com’è, non lasciare traccia, evitare il rumore. La vera sfida non è tanto superare i dislivelli – comunque impegnativi – quanto adattarsi alla dimensione quasi primitiva del viaggio.
Lontano dai grandi circuiti escursionistici, l’Alta Via 6 custodisce una spiritualità laica, fatta di silenzi, vento, crepuscoli che incendiano le cime. In un’epoca in cui il turismo tende a sovraccaricare le mete più famose, questo tracciato rappresenta un’alternativa, spesso e volentieri, necessaria.
Preparazione e sicurezza
Affrontare l’Alta Via 6 significa scegliere un’esperienza intensa, che va oltre la semplice escursione. Non è un cammino da prendere alla leggera: richiede una buona dose di esperienza in montagna, senso pratico e, soprattutto, la voglia di cavarsela anche quando le comodità sono lontane.
Molti tratti attraversano zone isolate, dove può capitare di non vedere nessuno per un giorno intero. I bivacchi sono spesso non custoditi, essenziali, a volte poco più che un riparo di fortuna. Per questo è importante avere con sé tutto l’occorrente per essere autonomi: una tenda leggera o almeno un sacco a pelo caldo, un fornello da campo, scorte d’acqua sufficienti, e qualcosa di calorico da mangiare anche in emergenza. L’acqua, in particolare, non è sempre facile da trovare: alcune fonti sono stagionali, altre lontane dal tracciato. Conviene informarsi bene prima di partire e segnare i punti di rifornimento sulla mappa.
La cartina escursionistica resta uno strumento fondamentale, da affiancare eventualmente a un GPS o a una traccia digitale. Tuttavia, lungo alcuni tratti il segnale del telefono non prende, e sapersi orientare “alla vecchia maniera” può fare la differenza. Anche la bussola, sebbene sembri anacronistica, torna utile quando la nebbia cala o ci si trova in zone poco segnate.
Il periodo migliore per mettersi in cammino va da fine giugno a inizio settembre. Le giornate sono più lunghe, i passi solitamente sgombri dalla neve, e il rischio di imbattersi in condizioni invernali è ridotto. Ma l’attenzione al meteo dev’essere costante: un temporale estivo può trasformare in fretta un sentiero sicuro in un passaggio esposto, scivoloso o pericoloso.
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