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“Benvenuti all’università dello skyrunning”. Grida forte lo speaker, le casse rimbombano di musica e parole là in cima, sulla forcella Pordoi. Grida ancora più forte e guarda giù, lungo la salita furiosa e selvaggia che a zig zag viene mangiata dagli skyrunner. Ad osservarli dall’alto, dalla funivia, sembrano formichine schiacciate dall’immensa verticalità della montagna. A vederli da vicino, sono eroi che lottano con lame di dolore nei muscoli, il sudore che cade a terra e gli occhi che si muovono febbrili agognando la vetta.

Serve partire da questa immagine per raccontare una gara unica nel suo genere, evento iconico di Salomon e quintessenza dello skyrunning. Siamo a Canazei, dove domenica 17 luglio si è corsa la Dolomyths Skyrace, tappa del circuito Golden Trail World Series: è la gara regina di un week end di sfide dalle ultradistanze al chilometro verticale a cui hanno partecipato 1.200 atleti da 35 nazioni.

Quasi seicento gli atleti iscritti, 400 arrivati dentro il tempo massimo, un’altra trentina al traguardo e i rimanenti sono rimasti sul percorso, tra ritiri e infortuni, o non si son neppure presentati alla partenza. Perché questa non è una gara per tutti, questo è skyrunning portato alla massima espressione (guardatevi la sfida di alcuni anni fa tra Marco De Gasperi e Kilian Jornet su YouTube, se non siete pratici col concetto di corsa a fil di cielo).

Abbiamo avuto la fortuna di correrla, di viverla da dentro. Superata l’ansia del giorno prima, seguita la conferenza stampa degli atleti d’élite e studiate le ultime novità al brief tecnico, domenica su Canazei c’era un sole spettacolare. Aria frizzante, Piazza Marconi che diventa arena per i runner, circondati da un apparato organizzativo di livello internazionale: maxischermi per vedere la gara in diretta col commento tecnico del sei volte campione del mondo, ora product manager per Scarpa, De Gasperi; tutt’attorno pulsa la folla delle grandi occasioni, una piccola area expo e un febbrile muoversi di atleti e di amatori accompagnati da amici e famiglie.

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Pronti, via. Neppure il tempo di percepire il batticuore del primo scatto tra le case di Canazei e i suoi affreschi storici e inizia la salita, brutale. Alla fine saranno 1.750 metri di dislivello positivo, si parte tagliando le piste da sci prima di immergersi nel bosco. Dai 1.450 metri di Canazei alla Forcella Pordoi (2.829 metri) sono quasi 1.400 metri di dislivello e poco meno di dieci chilometri lineari. Non è una gara per tutti, il cancello delle due ore ha tagliato fuori molti atleti. E lo speaker, dall’alto, che gridava il countdown mentre Davide Magnini arrivava primo, dà la dimensione della potenza degli atleti d’élite e di quanto gli amatori, seppur con un curriculum di decine di gare sulle spalle, debbano lottare per rispettare gli standard chiesti per questa gara.

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Sulla Forcella l’anima si spezza, la bellezza tutt’attorno è un dono della montagna all’uomo. Inizia un tratto di corsa leggera, tra turisti e rocce sempre più bianche. Lì in fondo c’è il Piz Boè con la Rifugio Capanna Piz Fassa. Turisti seduti ai lati, applausi, e poi via con il segmento, a tratti attrezzato, verso la cima. L’occhio spazia ovunque, distese lunari e valli incantante, il sole dà la propria benedizione alla vetta. Sarebbe bello poter mettere in pausa il cronometro, fermarsi e vivere l’attimo sfuggente della perfezione che cala a terra.

Ma siamo qui per correre, ed inizia allora un precipizio verso l’abisso fatto di corde, di salti, di ghiaioni friabili, di gravità e di vuoto. Di incertezza e paura, di agonismo e sfida. Non è una gara per tutti: sono sentieri catalogati come EE, per escursionisti esperti, tanto che l’organizzazione suggerisce di percorrerli prima. Una piattaforma lunare, di roccia pura, quasi una valle surreale circondata da vette porta poi al Rifugio Boè, a 2.871 metri. Qui il cancello è a tre ore, mancano 11 chilometri e una piccola salita, spettacolare e tecnica, verso l’Antersass, segnata solo dalle bandierine, prima di precipitare verso Val Lasties.

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Dalla roccia ai primi cespugli. Le gambe pesano, la parte tecnica è solo un ricordo e inizia il volo dello skyrunner in discesa. La storta, mettere male il piede e rischiare di cadere, le vesciche, i sassi che rimbalzano sulle caviglie: capita a tutti, capita più volte. Serve solo sopportare e accelerare, ignorando le grida del corpo. I migliori scendono a tre minuti al chilometro, fa paura vederli precipitare. Il cuore batte forte, bisogna lasciarsi andare e solcare single track, l’area boschiva, piccoli tratti su mulattiere.

D’un tratto, il percorso diventa danza leggera di balzi tra radici e roccette, che infine riporta sulle piste da sci e quindi in centro a Canazei. Ventidue chilometri lasciati alle spalle, lo speaker che ti saluta all’arrivo, gli applausi, la medaglia. Nel petto, un’esperienza che sarà impossibile da dimenticare; una di quelle giornate che poi rivivrai nei video che ti causeranno la pelle d’oca, anche se saranno passati anni.

Si crea un ricordo, si crea un’emozione. Non è una gara per tutti, è l’università dello skyrunning. Benvenuti alla Dolomyths Skyrace.